2024-11-18

AI, persone intelligenti e meno, Wikipedia.

 Beh, direi che ormai tutti sappiamo cosa significa questa sigla, sia nella versione italiana (IA) che in quella inglese (AI): intelligenza artificiale.

Non ricordo se ho già detto qualcosa sulla AI: viene chiamata Intelligenza Artificiale, ma al momento è tutto meno che intelligente. O meglio: riesce a capire quello che le stiamo chiedendo (in qualunque lingua), usa il risultato per una ricerca nel suo database, per poi rispondere con brani più o meno lunghi presi dal database, che (sulla base delle sue conoscenze) possono essere collegati tra loro. E fa tutto questo molto bene, tanto che si ha spesso la sensazione di parlare con una persona e da qui l’appellativo di intelligenza. Però… siamo pronti a dire che il secchione compagno di scuola, che imparava tutto a memoria e ripeteva a pappagallo… bene, lo consideravamo intelligente? Risposta: sì, ma non perché si ricordava tutto, ma per altre cose: magari perché riusciva a risolvere un problema di matematica senza averlo mai visto prima; oppure perché riusciva a passare la soluzione ai compagni senza farsi beccare…

Avete provato a dare all’AI un problema di fisica che non sia il solito problemino da una formuletta e via, ma dove sia necessario un ragionamento e un po’ di inventiva? Io sì e alla fine avrei dovuto dare un’insufficienza anche piuttosto grave: l’AI si limita a considerare le formule che conosce e a cercare di metterle assieme, magari anche furbescamente, ma spesso il passaggio ci sta come i cavoli a merenda (suppongo che nessuno li abbia mai mangiati a merenda…).

In qualche caso gli ho dovuto fornire la soluzione corretta: risposta tipica (“hai ragione”), seguita da una soluzione identica a quella errata. Direi che non possiamo definirla proprio intelligenza…

Funziona bene al posto di varie ricerche, man mano raffinate: lì sì! Ha dalla sua la velocità: prima che noi leggiamo una decina di articoli trovati, capiamo che dobbiamo fare una ricerca più ristretta e poi leggere nuovamente i risultati, l’AI ci fornisce già la scrematura finale, magari persino riassunta (provate ad usare Arc Search). Ovviamente, attenzione alle allucinazioni: magari parole identiche hanno significati diversi in contesti diversi ma simili: alla fine dobbiamo sempre controllare che il risultato abbia senso.

Ora, da dove prende i dati per costruire il proprio database? Ma ovvio: dalla rete! Non proprio tutto, ma buona parte: da tutte le cose che vengono pubblicate, anche quello che sto scrivendo proprio ora! In generale, tutto quello che viene considerato nel pubblico dominio.

Pubblico dominio: ci sarebbe un po’ da ridire: in teoria gli unici materiali di pubblico dominio sono quelli contrassegnati da certe sigle o denominazioni: MIT, Creative Commons, spesso nate per le righe di codice dei software e poi estese ad altri casi. Ma quello che sto scrivendo, per esempio, non è contrassegnato da alcuna di queste definizioni. Anzi, per il diritto internazionale (disclaimer: ne so poco, non sono un avvocato o simile), nel momento in cui pubblico un mio pensiero, una mia elaborazione di dati conosciuti o provenienti da miei studi, sto dichiarando al mondo che ciò che ho scritto è mio, non di altri e solo io posso farne qualsiasi uso: in particolare, guadagnarci soldi, sempre che ci sia qualcuno che ne voglia acquisire i diritti (in questo caso, nell’aprire il blog su piattaforma Google, suppongo di aver dato il permesso a Google l’utilizzo di quanto scrivo, ma non ad altri). Se pubblicassi su un dominio mio, su server da me pagato, i diritti sarebbero tutti miei. Spesso infatti le persone di cui è riconosciuta l’autorevolezza su certi argomenti, non pubblica su piattaforme “libere”. Allo stesso modo, in coda ad ogni articolo di giornale online compare “DIRITTI RISERVATI”: quei dati non possono essere usati senza averne legalmente l’accesso tramite accordi. 

A cosa porta questo? Se l’AI può usare solo contenuti free e le informazioni più corrette non sono pubbliche, come faremo a istruire l’AI ad essere intelligente? Il fatto che al momento in certi campi funzioni abbastanza bene vuol dire una delle due cose:

  • le informazioni di pubblico dominio sono molte e corrette
  • — oppure —
  • l’istruzione è avvenuta anche su informazioni non pubbliche

Qualche società editrice sta anche pensando di aggiungere su ogni libro pubblicato la dicitura “non utilizzabile per l’istruzione di Large Language Models”: il risultato sarà che si ridurranno le possibilità di far crescere l’intelligenza delle AI…

Allora arriviamo ad un controsenso (ed è qui il centro del post): esempio, io sono un fisico, non so nulla di come si replica un virus, se non per sentito dire. Per una mia convinzione, scrivo su un po’ di piattaforme che il virus XYZ23H53! assale soprattutto gli uomini nati in inverno ed il cui peso supera i 70 kg; per le donne invece, sono più colpite quelle nate di lunedì o giovedì nel periodo di luna piena. I bot di ricerca dell’AI trovano i miei 10 interventi su altrettanti forum e almeno due post su piattaforme gratis; ma trovano anche almeno un centinaio di forward, post facebook/instagram/tiktok con link di gente convinta che sia vero (state sicuri che un centinaio di persone le troveremmo di sicuro…). Trovano anche due post in pubblico dominio di due scienziati che affermano il contrario, dicendo che non ho prove… ma sono solo due, per di più con pochi riferimenti di poche persone. Che fa l’AI? Darà più ragione alle mie cretinate e magari comincerà a proporle come risposte, a meno che non ci sia un controllo esterno. Quindi, il fatto che le cretinate siano in pubblico dominio e le cose vere no, verrebbe a creare un’intelligenza artificiale stupida!

Tra le possibili fonti, c’è Wikipedia, nei vari sapori wiki e nelle varie lingue. Nonostante ciò che si dice, sono pochi i casi in cui Wikipedia è stata colta in fallo (spesso poco prima che i suoi amministratori correggessero il problema), anzi, il suo coefficiente di affidabilità è al livello delle migliori enciclopedie online (a parte considerazioni legate alla politica…). Tutti i suoi contenuti sono nel libero dominio, per cui vengono usati.

Ora, per chi crea le AI, non è difficile, esaminando un testo, capire se questo è stato creato da un essere carbonio in carne ed ossa o da una AI. Bene, da poco è venuto fuori che almeno circa il 5% dei nuovi contenuti di Wikipedia inglese è stato creato usando ChatGPT!!! Sembra che anche nelle altre lingue il fenomeno esista.

Ci siamo capiti? L’AI usa i contenuti di Wikipedia per istruirsi, ma una parte di tali contenuti viene creata dalla AI! In elettronica o nei problemi di audio si chiamerebbe feedback! Scrivo la cretinata di prima, qualcuno usa l’AI per riempire un vuoto su Wikipedia, l’AI legge quell’articolo e l’affidabilità di quanto scritto cresce e così via.

Wikipedia sta correndo ai ripari, cercando di individuare i contributi falsi; se però il solito pirla cambia un po’ le parole, lasciando il senso, sarà difficile trovarli.

La domanda è: che senso ha una wiki fatta dalla AI?

Il problema torna ad essere: ci fidiamo di qualcosa di cui non conosciamo l’origine? Trasportato nel quotidiano: a chi affidiamo la riparazione della nostra auto super-tecnologica: a un meccanico preparato dalle case automobilistiche o al vicino di casa, di professione impiegato, che è solito guardare i video su YouTube? Quando siamo malati andiamo dal medico o dall’idraulico?

Il discorso si farebbe ancora più profondo: perché qualcuno dovrebbe scrivere su Wikipedia pescando dall’AI invece che dalle proprie conoscenze? Per poter dire che collabora all’enciclopedia libera? Io sono un fisico: posso scrivere (e qualche volta l’ho fatto) su argomenti di Fisica e correlati, ma non di medicina o di letteratura, anche se sono nei miei interessi. Perché dovrei millantare una conoscenza che non ho?

E su questa one-million-dollar-question, mi fermo, perché servirebbero conoscenze approfondite di psicologia e sociologia, che conosco solo superficialmente. Potrei solo dare opinioni, ma non lo faccio: non voglio che una AI le possa prendere per oro colato…

2024-09-07

Prova su strada del browser Arc

Il browser Arc sta uscendo da prodotto di nicchia e se ne sente parlare un po' di più. Circa 8 o 9 mesi fa, lo avevo scaricato, per vedere se poteva essere un sostituto per Edge (Chrome di Google non esiste più sul mio Mac); l'avevo disinstallato il giorno dopo: troppo diverso, poche spiegazioni, per poi ottenere la stessa cosa: navigare. Ma ora l'idea è di provarlo un po' più a fondo (sto scrivendo da Arc) ed il processo è tutto in diretta 😀

Il confronto sarà ovviamente rispetto a Safari (default su MacOS) e Microsoft Edge (basato sul motore di Chrome, ma un po' meno pesante dell'elefante di Google). Anticipo anche che sono molto pignolo sull'interfaccia grafica dei software e qui non faccio eccezione.

Inizio e avvio

L'app non è presente sullo Store, come per altri browser (ma è stata notarized da Apple, per cui è sicura), per cui occorre andare sul sito per scaricarla; l'installazione è al solito un drag&drop.

La partenza (fatta con Mac appena svegliato dallo sleep) è piuttosto lunghetta (i nuovi processori ARM ci hanno abituati male): 7-9 secondi, un'eternità, ma anche gli altri due non fanno tanto meglio: per Edge è la stessa cosa, Safari un paio di secondi in meno. Poco importante: con la gestione della memoria di MacOS, possiamo lasciare aperti i software usati spesso.

Non si presenta bene: il colore scelto di default è una sorta di verde/giallo che ricorda l'acqua di una palude... per fortuna si può cambiare (right-click sulla barra a sinistra, Edit Theme Color).

Noto che una parte dell'interfaccia compare in italiano, mentre tutti i menu sono in inglese: non è un problema, ma per coerenza preferirei una sola lingua, fosse anche solo l'inglese.

La primissima cosa da fare, per me obbligatoria (perché non è di default?): dal menu View far comparire la Toolbar  e poi dalle preferenze far comparire la barra degli indirizzi: odio non avere un feedback di dove mi trovo! Poi, andare nelle preferenze Advanced e attivare Show full URL. Gli sviluppatori non devono considerare gran che questa opzione, avendola messa nelle Advanced...

Supporta le gesture standard di Safari, cosa che purtroppo Edge non fa: swipe a destra si torna indietro, a sinistra si va avanti. Per chi come me usa la trackpad sono utilissime. Anche il comando di ricarica pagina è standard (cmd-R, ma non lo trovate in nessun menu).

Gestione preferiti: ...non ci sono

La differenza enorme, che potrebbe fermare visitatori non motivati (come è successo a me mesi fa) è che i preferiti/bookmarks/segnalibri, comunque li si chiami, non esistono: qui ci sono i pinned tabs (in italiano: schede appuntate). Ma gli sviluppatori sono convinti che non si debbano proprio usare o comunque averne pochini: per me che ne ho circa 250... suona l'allarme! Comunque è possibile importarli da un altro browser; l'ho fatto, per scoprire che vengono inesorabilmente piazzati in uno spazio sulla sinistra del browser, non è possibile spostarli, in particolare in alto, dove sono abituato a trovarli.

Qualcosa di simile hanno fatto Safari e Edge, ma su entrambi si possono riportare in alto: qui no. Ho visto qualche discussione sui forum: gli sviluppatori non sono interessati a fornire questa opzione. Andando avanti, si può capire la scelta, ma l'idea di non dare nemmeno la possibilità mi lascia perplesso. Se i preferiti hanno nomi lunghi, si è costretti ad allargare la sezione, con uno spreco di spazio notevole, mentre se fossero in alto si perderebbe non più di una riga. Per risolvere il problema, è possibile nascondere questa colonna di preferiti (icona in alto a sinistra), che può essere richiamata portando il mouse contro il bordo di sinistra (come fa Safari per preferiti, history e pagine di lettura). Ok, buona soluzione, ma chi come me aveva un bel clipboard manager (PastePal) che presenta la stessa funzionalità, ha dovuto spostarlo da un'altra parta: i tab devono restare a sinistra!

L'importazione dei preferiti (ops! Dei pinned tabs) procede normalmente, ma mi ha fatto scoprire una cosa orrenda: qui i radio button funzionano al contrario! O comunque, la grafica non è corretta. Nel mio mondo, l'opzione si considera selezionata quando il pallino è pieno. Infatti all'inizio davanti a questa interfaccia


mi sono detto "Mi fanno importare da due browser contemporaneamente?" Clicco su Edge per disabilitarlo:

Il sospetto viene, perché invece che nero il pallino è blu e l'icona di Safari sembra leggermente trasparente, ma andando avanti (scelta del profilo) scopro che in realtà ho selezionato Edge! Capisco che il pallino blu sia elegante... ma per favore, non usate un pallino pieno per indicare quello non selezionato! E poi: perché non usare i radio button standard del sistema operativo? magari non sono belli, ma li capiscono tutti! Però... nelle preferenze la grafica è quella standard (di Chrome: non bella ma logica), per cui attenzione... Devo dire per contro che dopo l'importazione dei preferiti non l'ho più visti.

Il processo fornisce la possibilità di importare anche i cookie: questo proprio no! Immagino l'utente medio ("click avanti-click avanti-click avanti" durante il processo) che si porta dentro al nuovo browser tutti i cookie del vecchio, compresi i tracciamenti, le pubblicità visitate... Utile poterlo fare, ma non di default! Per contro (positivo) mi fa scegliere quali cartelle di preferiti importare (ma solo sul primo livello): non so se sia utile, ma meglio avere la scelta.

I miei preferiti sono diventati pinned tab e me li trovo tutti a sinistra. Facciamo un po' di spazio, eliminando i tab di default (più che altro roba di Arc): seleziono la cartella, tasto destro, remove. Giustamente mi chiede se sono sicuro, ma lo fa con questo dialogo:


Mi pare di essere su una piattaforma di giochi, con bei colori e persino lo shortcut da tastiera (è dal 1984 che Esc serve per uscire dal dialogo e Invio per accettare); deve essere lo stesso designer dei radio button di prima. Questione di abitudine, ma questa grafica mi sembra troppo invasiva. Il successivo software userà uno sfondo giallo con scritte blu? Le Human interface guidelines dove sono finite?

Ma torniamo ai pinned tabs: dopo l'importazione e dopo aver aperto qualche cartella per trovare i miei preferiti, non trovo più i tab che avevo aperti in precedenza: dato che sono messi sotto a quelli pinned, bisogna sempre fare uno scroll più o meno lungo per arrivarci. Comunque, ora clicco su un preferito: questo si illumina (notiamo il bellissimo sfondo color palude...) mostrando un segno meno: se lo clicco, il tab si chiude, cioè non vedo più la pagina, ma il preferito (per fortuna) resta. La chiusura però avviene anche se clicco su un altro preferito: ecco perché l'hanno chiamati tab: è come se fossero sempre aperti.
Facciamo invece attenzione al fatto che, se passo col mouse su un pinned, (in figura ho cambiato lo sfondo 😄) anche non aperto, compare una X che, se cliccata archivia il tab, in parole povere lo cancella, lasciandolo solo nella history: questa non viene mai chiamata così nell'interfaccia, ma nelle preferenze sì! Se invece vogliamo cancellarlo del tutto (non ho capito se resta nella history anche in questo caso) allora right-click e remove pin. In cima alla lista dei pinned ci sono quelli chiamati preferiti (ma dai, allora ci sono...): sono in pratica la stessa cosa dei pinned, con l'unica differenza che sono disponibili in tutti gli spaces di un profilo. Come default vengono forniti YouTube ed il calendario di Google... per me abbastanza inutili, per cui l'ho sostituiti con l'indirizzo di una delle caselle di posta. C'è un numero massimo di preferiti, due per riga.

Tab, Spaces e Finestre

Abbiamo parlato di Spaces: sono liste che suddividono aree di lavoro: p.es. i link usati per lavoro da quelli di un hobby o ancora da quelli di informazione. Ogni space può avere un colore di sfondo diverso (ecco dove possiamo cambiarlo!). Anche chiamati in modo diverso, li ha introdotti anche Edge.Per me sono inutili: il confine tra lavoro ed altro è sempre molto sottile; tuttavia, se qualcuno è abituato ad aprire quantità infinite di tab, potrebbero essere utili. Al solito, meglio averli e non usarli che non averli del tutto.

Ma perché gli sviluppatori di Arc ce l'hanno a morte con i veri preferiti? Per evitarli, hanno introdotto una ricerca che fornisce come risultati sia quelli dalla rete che dai pinned: (lo fanno anche Safari e Edge, ma qui diventa importante) questi ultimi sono distinguibili solo dalla scritta Switch to Tab: se si clicca proprio lì, si apre il pinned scelto, ma nel tab originale. 
Perché dico questo? Supponete di voler aprire due preferiti e passare da uno all'altro per confrontare: posso da un lato dividere lo schermo in due (fino a 4, a quanto ho capito: ottima funzione, implementata anche da altri), ma se nel confronto ho bisogno di essere a tutta pagina, devo avere la possibilità di passare da uno all'altro con un click. Ma se i due pinned sono distanti come posizione, diventa una corsa ad ostacoli (ed ogni volta il precedente tab viene chiuso!). Se invece si fa due volte (o più) la procedura di nuovo tab tramite ricerca, quelli a cui ho switchato restano, per così dire, accesi e posso passare da uno all'altro: tutti quelli scelti sono vicini tra loro. Ma attenzione a non sbagliare: se per caso avete bisogno di aprire una cartella dei pinned, resta aperto solo l’ultimo, l’altro è andato e bisogna riaprirlo. Suppongo che gli sviluppatori non abbiano mai avuto una simile necessità; a me capita spesso e l'unico modo è di aprire un'altra finestra e passare da una all'altra con il solito swipe di MacOS.

Configurazioni

Dopo un periodo minimo di 12 ore (configurabile fino a 30 giorni) i tab aperti (ma non i pinned) sono archiviati: scompaiono dalla lista e finiscono nella history.
Ancora una cosa sulla navigazione: come detto, ho inserito come preferito (= disponibile in tutti gli spaces) la mia Gmail a cui è collegato questo blog. Usando la navigazione di Google (i 9 pallini in alto a destra) ho cliccato sull'icona del blog: questa è comparsa aprendo una Little Arc Window, una sorta di popup, che non compare tra i tab. Possiamo aprire una simile finestra tramite il comando da menu e passando dalla solita ricerca: per me l'unica differenza è che si tratta di una finestra pulita, senza tutti i tab e compagnia. Dovrebbe essere un modo veloce per consultare un sito, ma non capisco il motivo della sua esistenza. Forse un tentativo di semplificare l'accesso veloce, ma per me aumenta la confusione.

Per chi usa gli spaces, c'è la possibilità di aprire determinati link (da app o da domini definiti) in uno space apposta, definendo il percorso (route) nelle preferenze con l'Air Traffic Control (!). Esempio: tutti i link provenienti da gmail.com. Non male, se appunto si usano gli spaces.

L’app è fatta per funzionare a tutto schermo (nel senso MacOS): quando la si riduce a finestra si trova che lo spazio è un po' ristretto. C’è comunque la possibilità di aprire finestre aggiuntive, ciascuna con tutto al suo interno per una navigazione completa. La nuova finestra si apre con il profilo e lo spazio attuale, mentre si può anche aprire una Blank Window, completamente vuota. Non manca l’incognito window, dove non si dovrebbe tener traccia dei cookie. Poi c'è la Little Arc Window, di cui abbiamo già parlato (a fianco la ricerca che permette di aprirla).

Un capitolo a parte sono le preferenze: esempio di come non bisogna fare l'interfaccia.
Il problema è che ci sono le preferenze dell'app (che si aprono come al solito con Cmd-, o tramite il menu), in una finestra apposita, ma anche le preferenze di Chromium, alle quali si arriva dopo qualche click. Queste si aprono a tutto schermo nel browser, ma restano in secondo piano: per leggerle bisogna chiudere la finestra delle preferenze dell'app! Così facendo non si riesce più a tornare indietro per aprire un'altra scheda delle preferenze, se non riaprendole!

Nello screenshot qui sopra vediamo la finestra delle preferenze dove ho appena cliccato una "i", che ha aperto una pagina sotto la finestra! Per leggerla, l'unico modo è chiudere le preferenze. L'app è in inglese, quindi anche la finestra preferenze; ma quando si va sulla parte gestita da Chromium, le scritte sono in italiano.

Qui sopra vediamo una pagina tipica di Chrome, che si raggiunge solo cliccando in alcuni punti della finestra delle preferenze.
Una nota sulle definizioni: c’è la possibilità di bloccare i cookie di terze parti, cosa che faccio sempre. Qui nelle preferenze c’è scritto che i cookie terzi sono usati per mantenere l’accesso, gli articoli nel carrello, ecc… Ma allora sto bloccando i cookie di proprietà del sito? Se questo è vero, non è possibile bloccare i cookie veramente terzi? Da approfondire: forse la traduzione non è fatta bene, perché sia Chrome che Edge hanno una suddivisione più corretta.
Nota: non è possibile non pre-caricare alcunché: le sue scelte sono “precaricamento esteso” e “standard” (“alcune delle pagine sono prevaricate”). Non mi piace, ho sempre disabilitato il pre-caricamento (nessuno può sapere dove farò il prossimo click!).

Funzioni e considerazioni aggiuntive


Quelle nuove sono due, interessanti per l'idea: la prima è chiamata Boost: permette di modificare una pagina nei suoi colori, intonazione, luminosità e caratteri, in modo definitivo, nel senso che le modifiche, fatte tramite un piccolo popup, vengono registrate ed applicate ogni volta che si accede al sito. C'è anche la possibilità di inserire codice CSS e Javascript. Inoltre si possono anche far sparire (zap) elementi della pagina, per esempio pubblicità (basta che non cambino URL). Interessante, appunto; non so quanto utile ma certamente una fonte di grande perdita di tempo!

L'altra funzione è la possibilità di usare una lavagna digitale (qui chiamata Easel), su cui si possono incollare link, pagine, figure geometriche e tratti a mano libera (col solo mouse è difficile). Si possono condividere tramite link: gli utenti che hanno il link (ovviamente che usano Arc) possono editare a loro volta:

In pratica è una sostituzione dei documenti Jam di Google, ora dismessi.

Come ormai tutti i browser, ci sono gli strumenti per sviluppatori; si possono aprire come al solito (Cmd-I) oppure con una versione arricchita: ctrl-D, da dove è possibile copiare link, fare screenshot della pagina, aprire la console, esaminare il codice (le solite cose da sviluppatori)

È stato fatto un buon lavoro sull'occupazione RAM: pur essendo un browser e quindi un divoratore di memoria, al momento, dopo tre giorni di uso, l'occupazione totale è di 1,6 GB. Cifre grosse, ma Edge non è da meno. Solo Safari, con gli stessi tab, sta poco al di sotto, ma potrebbe essere un caso. E qui ci sono funzionalità aggiuntive.

C'è poi una parte di intelligenza artificiale (ovvio, oggi non se ne può fare a meno...) qui chiamata Max: non ho trovato che fornisca qualcosa da avere assolutamente: organizzazione dei tab aperti (così poi non li ritrovo...), nomi "parlanti" di tab e download per poterli individuare (decido io come chiamarli), uso del proprio account di ChatGPT dalla ricerca, apertura automatica del primo risultato di ricerca (che fatica fare un click sulla prima posizione...), preview di un link... Alcune cose sono già disponibili in altri browser, alcune non sono da AI. Inoltre nell'help è scritto che "al momento non ci sono piani di pagamento per l'uso di Max", ma in seguito chissà...

Sicurezza e privacy


Non posso dire molto: si tratta del motore di Chrome e di Edge e la loro sicurezza si basa più che altro su chi ci costruisce attorno (oltre ovviamente all'utente!): da poco Google ha fatto sapere che bloccherà i cookie di terze parti come configurazione di default. Però non bisogna dimenticare che il modello di business di Google è soprattutto la gestione dei dati, per cui non mi viene istintivo fidarmi ciecamente di Google.
Mi fido di più di Edge (Microsoft ha lo scopo di vendere il suo sistema operativo Windows, quindi in teoria dovrebbe renderlo più sicuro possibile - i risultati con il suo Defender si cominciano a vedere) o di Safari (stesso motivo per Apple, che oltre tutto sta facendo della sicurezza il suo cavallo di battaglia).
Non conosco invece il business model di questa Browser Company: nella sua safety policy afferma di non tenere dati, di non spiarci e di non vendere i nostri comportamenti; bisognerebbe sapere chi la sta finanziando (il browser è gratis). Il fatto di aver letto tra le righe che in futuro l'uso dell'AI potrebbe essere monetizzato, per me è positivo: quando una cosa è gratis, il prodotto da vendere siamo noi (naturalmente Open Source esclusi). Per ora sono propenso ad essere ottimista: vedremo.

Riassunto finale


La necessità di avere un browser basato su Chromium ma meno elefentiaco di Chrome si sente: tanto che se devo usare quel motore ho installato Edge (orrore! Un software MS su Mac! 😀 Le guerre di religione sono finite!).
Indubbiamente si tratta di un browser che si differenzia dagli altri, soprattutto nel modo in cui richiede di essere usato. Ho usato questa espressione (richiede) perché l'utente deve abituarsi al modo di pensare dello sviluppatore. Di solito questo è negativo: è il software che deve adattarsi; qui l'idea dello sviluppatore è "impara questo metodo nuovo e ti troverai bene". Ricorda l'accusa che spesso viene fatta ad Apple: non dare la possibilità all'utente di scegliere certe cose, Apple sa cosa fa! Qui è lo stesso: viene detto di abbandonare l'idea dei bookmark/preferiti, lo sviluppatore ti insegna come devi lavorare.
La cosa mi pare un po' troppo spinta rispetto a quello che ha fatto Apple (o meglio, Xerox): quella prendeva la metafora di scrivania, documenti, cestino. Qui invece si va sul concetto che tramite una ricerca online si trova tutto e se proprio si pensa che sarà difficile ritrovare quel particolare sito, allora lo salviamo come pinned, ma deve succedere poche volte.
L'idea di provare meglio qualcosa di nuovo è come al solito entusiasmante: proverò ad usarlo un po' più intensamente e vedremo cosa ne penserò in seguito. Le funzionalità aggiuntive (Easel, Boost) anche se interessanti, non mi sembrano da sole motivo per cambiare direzione. Vediamo come si trasforma il mio flusso di lavoro (un browser Chromium mi serve comunque).

Dopo l'uscita sul Mac, è disponibile anche la versione Windows: potrebbe essere che in quel mondo, dove le finestre hanno ciascuna il proprio menu, questa filosofia venga meglio accettata. Ma c'è la grossa concorrenza di Edge, con lo stesso motore e ben integrato con l'AI di Bing, fatto tutto in casa propria. Senza dimenticare che anche Firefox sta ammodernandosi, ma restando abbastanza leggero.

Esiste anche la controparte iOS, che non si definisce browser, ma solo motore di ricerca. Ma di questa parleremo in seguito...

2024-08-27

Della privacy, della libertà e della censura

Anticipo la domanda finale del post: "chi controlla i controllori?"

Attualmente vedo un problema in due casi importanti.

Il primo è l'istruzione dei sistemi di intelligenza artificiale: è stato posto da un po' di tempo e le discussioni si ampliano, tanto che in qualunque congresso su qualunque argomento oggi si può trovare una sezione sulla AI (o IA, a seconda della lingua usata).

Ormai sappiamo che di vera intelligenza ce n'è poca: il software viene istruito tramite la lettura di giga e giga di roba a disposizione nel web. Il software esamina la sequenza di parole e si costruisce un database di sequenze, ciascuna con la sua probabilità, che andrà ad usare nelle risposte. Velocità, memoria smisurate, ma non intelligenza.

I risultati sono miracolosi: le risposte, velocissime, hanno senso compiuto, tali da dare l'idea di un qualcosa di senziente. Più si definisce un contesto di lavoro (p.es. linguaggi di programmazione), migliore sarà la risposta, ma si tratta sempre di infilare una parola dietro l'altra. Provate a chiedere la soluzione ad un problema di Fisica appena più complesso e vedrete che di intelligente c'è poco.

Si è sempre detto che se si inserisce una sciocchezza in un computer, il risultato sarà una sciocchezza ancora più grande: siamo allora sicuri che non stiamo istruendo una AI con delle cretinate?

Esempio: se aumentasse la frequenza di post che affermano la Terra essere piatta, diventerebbe probabile che l'AI, alla domanda "qual è la forma della Terra?", invece di "geoide" risponda "un disco piatto": gli è stato insegnato così. Supponiamo che ad un giovane di una tribù con pochi contatti con la nostra civiltà, venga dato un dispositivo che parla e ascolta (ChatGPT è in grado di farlo senza problemi); il ragazzo è curioso e chiede "ma la Terra che forma ha?"; il dispositivo gli risponde "è un disco piatto" ed ecco generato un bel fake nella giungla.

Una cosa del genere è più probabile nei casi di attualità ("spiegami l'importanza di quel politico") e ne sanno qualcosa i volontari moderatori di Wikipedia, ma non solo. Esempio: ci sono aziende che usano l'AI per selezionare i CV degli aspiranti, basandosi su schemi comuni, per cui se si sgarra dalla normalità, si viene scartati (notare che questo è l'esatto contrario di quanto si diceva tempo fa: scrivete un curriculum un po' diverso, per potervi distinguere dalla massa: oggi un genio verrebbe scartato dall'AI...).

Quindi il problema è: chi deve decidere che materiale fornire ad una AI? Aggiungiamo che la società dietro ad una AI tende a non fornire il meccanismo di digestione dei dati, per cui è anche difficile prevedere il risultato di una scelta.

Quello a cui probabilmente si arriverà sarà che ogni azienda AI dovrà comporre un "comitato di saggi", che deciderà cosa andrà a finire nel database dell'AI (che dovrà anche essere aggiornato, quindi lavoro assicurato per anni a venire). La scelta delle persone rifletterà il pensiero dell'azienda e quindi i risultati forniti dall'AI. Possiamo sperare che le varie aziende di AI (comprese le open source) appartengano un po' a tutte le correnti in ogni campo, in modo da avere punti di vista diversi; quindi prima di avere una risposta dovremo consultarne molte? Uhm, costoso... Allora prevediamo una super-AI che faccia la domanda a tutte le AI in circolazione e poi ne faccia il riassunto? Ma chi decide come farlo? 


Cambiamo campo: problema simile ma meno noto, perché coinvolge una parola tabù: la censura, anche se sotto forma di privacy o simili.

In questi giorni è stato arrestato in Francia Pavel Durov, il fondatore del sistema di messaggistica Telegram (sito ufficiale). Le notizie sono poche, ma si pensa che il problema sia il rifiuto di eliminare alcuni contenuti relativi a droga, pedofilia, terrorismo e compagnia bella. Ma soprattutto il negare l'accesso al sistema per le indagini relative agli stessi reati. Lasciamo perdere la figura di Durov, piuttosto discussa, ma tanto quanto quella di Musk, sull'altro lato dell'oceano.

Certo, se parliamo di terrorismo, pedofilia e simili, saremo tutti d'accordo nel pretendere da Telegram l'eliminazione del materiale ed i dettagli degli account. Ma quando la stessa piattaforma viene usata in regimi totalitari? Il regime di un paese vorrà sapere chi sta complottando per far uscire un perseguitato politico. Allora per un regime vogliamo usare regole differenti? Ma chi decide che un paese è una dittatura?

Andiamo oltre: viene creata una legge che costringe le piattaforme come Telegram a rivelare le identità degli account su richiesta della magistratura di un qualunque paese. Ciascuno di noi dirà: "bene, chisseneimporta se si sa che tifo Inter? Non ho nulla da nascondere".

Ok, ora spostiamoci in un futuro dispotico, tipo "1984" (dovremo trasporre l'anno, però) e in Europa vige l'Impero del Lupo Marrone, un tiranno che mantiene il potere con elezioni truccate. Il signor Ollig sta costruendo una rete segreta: questa però viene scoperta dalla Polizia Marrone con mezzi perfettamente legali, perché Ollig usa Telegram per comunicare. In quel caso saremmo tutti d'accordo?

Chiarisco: non sto dalla parte di Telegram, che attualmente copre reati anche ributtanti; mi sto solo chiedendo chi potrà essere in futuro a decidere cosa sia un reato.

Come era chiaro già all'inizio, non ho la soluzione in tasca e purtroppo penso non ce l'abbia nessuno. Ma credo sia utile discuterne, soprattutto quando se ne parla poco. E ripropongo la domanda: chi controlla i controllori?

2024-07-19

Il blackout del 18/7/2024

Ormai l'hanno riportato tutti i mezzi di informazione: questa notte (per gli USA era ancora giovedì) moltissimi sistemi basati su Microsoft Azure sono andati in tilt, mostrando la famosa Blue Screen Of Death, chiamata così quando era molto diffusa, che poi sarebbe il corrispettivo nei sistemi Windows a "non so più cosa fare".

Ma prima di prendersela con Bill Gates (che tra l'altro non è nemmeno più in Microsoft), bisogna sapere che il responsabile è un software di sicurezza prodotto da Crowdstrike, tra l'altro azienda non nuova a questo tipo di problemi, anche se più circoscritti (il link è alla pagina di Wikipedia, dove ne vengono riportati alcuni).

Non voglio entrare nei possibili motivi a basso livello, che ovviamente non verremo mai a sapere, ma vorrei invece dire due parole come commento ad un'intervista riportata su un quotidiano nazionale ad un innovation manager di una ditta informatica italiana.

L'intervistato, alla domanda di come si possono evitare questi problemi, risponde dicendo che non bisogna rilasciare (cioè mettere sul mercato) una nuova versione del prodotto per tutti i clienti, ma lo si rilascia per un piccolo gruppo di clienti (a occhio direi i meno importanti...), poi ad un gruppo più grande, fino ad arrivare urbi et orbi.

Certo, oggi si fa così. Ma fatemi ritornare a qualche decennio fa, quando la necessità era fornire un servizio di qualità. Su una nuova versione, prima del rilascio, veniva effettuato un cosiddetto smoke test (corrispettivo meccanico di "vediamo se si rompe qualcosa"), poi si passava ai test del controllo di qualità (QA o QC, a seconda delle filosofie), tutti riportati in check-list da spuntare. Passaggio dagli sviluppatori per la correzione dei bugs; poi si riprende il ciclo di test e così via. Quando si smette? Quando il numero di nuovi bugs trovati è inferiore ad un numero (o percentuale delle linee di codice). A quel punto viene dato l'ok al mercato.

Non ho idea delle procedure di qualità in essere in Crowdstrike, ma essendo un fornitore di Microsoft sarà sicuramente certificata, cioè avrà un sistema di qualità approvato. Quindi questo bug così grande non doveva passare; qualcosa è stato saltato. Considerato che è stato rilasciato in tutto il mondo con così grande sicurezza, è probabile che andasse a correggere qualcosa di nascosto ma molto pericoloso. Mi immagino la riunione di rilascio:

  • (PM) allora, rilasciamo? Tutto a posto?
  • (QA) non sono sicuro, non abbiamo i risultati della sezione xx.y
  • (PM) su 30 sezioni ne manca una, allora rilasciamo
  • (QA) ma potrebbe essere importante, potrebbe bloccare il server...
  • (PM) esagerato, è mai successo? Cosa suggeriresti allora?
  • (QA) una settimana in più di test
  • (PM) assolutamente no, il cliente si aspetta il rilascio domani... e poi dobbiamo mettere a posto quello che sai...
  • (QA) ma questo sarebbe peggio...
  • (PM) se andasse male, ma sono sicuro che non sarà così
  • (QA) io questa responsabilità non me la prendo, è rischioso...
  • (PM) allora esci dalla stanza e vai dal CEO a dirgli che devi ritardare il rilascio: vedrai che risate che si farà! Lo sai quanto ci rimettiamo a non rilasciare domani?
  • (QA) ma se ho ragione, la cosa sarà brutta e tutti se la prenderanno con me
  • (PM) beh, alla fine sarebbe giusto: non sei stato nei tempi. Per un errore tuo non deve rimetterci tutta l'azienda
  • (QA) allora prenditela con lo sviluppo, che mi hanno dato il codice con 10 giorni di ritardo
  • (RD finora in silenzio) lasciatemi fuori, il mio l'ho fatto
  • (QA) se i tuoi facessero meno bachi, io lavorerei meglio e più velocemente
  • (PM mentre gli altri due litigano) ok, ora basta. Ho appena calcolato che se non rilasciamo questa notte dobbiamo pagare una multa di xxxx dollari. In più rischiamo che il baco della scorsa volta venga scoperto. Quindi si rilascia questa notte. Tu RD prepara la patch e mettila in distribuzione e tu QA mandami il rilascio su Slack. Facciamo fare qualche test anche a questi benedetti clienti. Bene, è bello lavorare con voi (esce dalla stanza canterellando sotto voce).
  • (QA) senti RD, fai stare in ufficio un paio dei tuoi: se succede qualcosa ci vuole qualcuno che sappia dove mettere le mani
  • (RD) tranquillo, se qualcosa non va, spediamo a tutti i clienti la procedura per disinstallare il nuovo e recuperare il vecchio
  • (QA) speriamo non succeda. In bocca al lupo.
  • (RD) amen (escono entrambi, nessuno dei due veramente convinto)
Le cose saranno state certamente diverse, ma il succo sarà stato proprio questo: abbiamo sforato i tempi, ma non dobbiamo rimetterci. Quindi facciamo fare i test ai clienti, costa di meno. Di solito.
Questa volta temo di no...

2024-07-17

Mattoni al posto delle batterie

Siamo onesti: le energie rinnovabili sono interessanti ed auspicabili, ma hanno l'enorme problema della discontinuità: di notte il fotovoltaico non funziona, quando non c'è vento l'eolico non serve... ma noi vorremmo poter mangiare anche quando è buio e non c'è vento!

Quando c'è il sole o tira vento, l'energia a disposizione è molto grande: considerando il valore della costante solare  (altri dettagli qui) e l’assorbimento di eventuali nuvole, il valore si aggira tra i 500 ed i 1000 W/m2. Se consideriamo un tetto di 10 m2, la potenza in gioco è di 10 kW (i normali contatori elettrici si bloccano a 3 kW!). Supponendo di avere insolazione per 3 ore (è poco, ma così teniamo conto solo di quando il sole è quasi perpendicolare), sono circa 100 milioni di joule. Il rendimento di conversione in energia elettrica di un pannello può variare, a seconda del tipo, dal 15% di tipo vecchio a 45% dei più recenti esperimenti (grafico, non di semplice comprensione, qui). Considerando un valore intermedio del 30%, l’energia ottenuta da sole 3 ore è di 30 milioni di joule, che corrispondono circa a 8 kWh.

Quindi durante il giorno possiamo far andare la lavatrice, usare il fornello a induzione… ma durante la notte ci piacerebbe avere almeno una parte di tutta quell’energia per far andare il computer e qualche luce. Si tratta quindi di immagazzinare quella non usata durante il giorno. In quei momenti, abbiamo bisogno di energia costante, ma proprio per questo, non rinnovabile: carbone? Nucleare?

Per risolvere il problemi, alcuni hanno avuto pensate non da poco, tra cui quella di usare le pietre!

La startup Rondo Energy ha ricevuto finanziamenti per approfondire un metodo di immagazzinamento dell’energia tramite la temperatura delle pietre.(qui la notizia). Il funzionamento teorico è semplicissimo: si parte dall’energia elettrica (da fonti rinnovabili) non utilizzata nei vari momenti del giorno, la si fa passare in una resistenza, dove per effetto joule, viene trasformata in calore (in pratica, una stufetta) che scalda l’aria, che a sua volta scalda un certo numero di pietre (si parla di tonnellate, ma ovviamente dipende dall’energia a disposizione). Quando poi c’è necessità di recuperare l’energia, si fa passare aria fredda tra le pietre, da cui viene scaldata: a quel punto si può costruire una macchina termica che lavora tra la temperatura dell’aria calda e quella ambiente. La massima temperatura raggiungibile deve essere sotto il punto di fusione delle pietre (tra 800 e 1500 °C a seconda della composizione, il che ci impedisce di usare l’acqua come fluido trasportatore del calore), mentre la temperatura fredda con cui lavorare potrebbe essere quella ambiente (20-25°C).

Trattandosi di un processo termodinamico che passa dal calore (si usa dire che sia “energia degradata”) il rendimento dell’intero processo non potrà essere superiore alla macchina di Carnot corrispondente. Considerando le temperature medie indicate sopra, il rendimento potrà essere al massimo attorno al 70%, a cui togliere ancora eventuali inefficienze della macchina termica. Nel migliore dei casi, degli 8 kWh di cui si è detto prima, potremo riottenerne circa 6.

Quindi, in ogni “ricarica” si perderà circa il 30% dell’energia originale. Bisogna però pensare che questo strano tipo di batteria ha un ciclo di vita praticamente illimitato (le pietre non si consumano in tempi brevi), si basa su materiale diffuso in natura (pietre e aria), non ci sono scorie (forse una tendenza all’aumento della temperatura, che potrebbe essere sfruttato per altri impieghi).

Naturalmente, il processo più semplice sarebbe di ottenere vapore con cui alimentare una turbina.

Parere contrario per la portabilità: una simile batteria deve essere per forza di cose grande e stabile; non pensiamo di attaccarci il cellulare… Potrebbe invece prospettarsi una possibile soluzione per l’approvvigionamento energetico delle industrie. In questa pagina sono riportati alcuni progetti in cui è previsto l’uso di queste batterie a calore.

2021-03-26

Il problema dei chip ethernet con Big Sur

 Ad una parte dei possessori di computer della Mela con uscite USB-C o Thunderbolt 3 capita di volersi connettere ad una rete cablata: talvolta il wifi ha un livello troppo basso o manca del tutto. È d’obbligo quindi un adattatore ethernet connesso alle USB-C del Mac.

Purtroppo, con il passaggio a macos 11 Big Sur alcuni di questi adattatori hanno smesso di essere affidabili: appena connessi va tutto bene, possono funzionare per ore con un uso normale di internet; poi c’è la necessità di una video conference (nel periodo attuale, quasi sempre e magari più ore al giorno) e a metà della conference (o subito, o alla fine, o magari dopo tre collegamenti perfetti) tac... Meet avvisa che non sei collegato ad internet!

Se sei fortunato, stacchi il dispositivo ed il Mac gira sul wifi e dall’altra parte non se ne accorge nessuno; se però esiti per più tempo o non c’è wifi disponibile... il collegamento è andato. L’unica cosa da fare è staccare il dispositivo (che potrebbe anche essere un hub, con magari collegato un hard disk - con conseguenti lamentele da parte di macos “come ti permetti di togliermi un disco senza avvisarmi?” o con l’iPad, da dove stavi facendo vedere uno schizzo a mano libera - e allora lì se ne accorgono tutti). Riconnettendo il dispositivo la rete torna e probabilmente darai la colpa al router, allo switch, al provider internet ed altri. Nessun reset invece, se stacchi solo il cavo ethernet.

Poi ti capita la stessa cosa fuori casa e arriverai a pensare che le porte del Mac sono difettose o che il dispositivo non funzioni più. Io ho acquistato un altro hub per questo motivo, per poi trovarmi nella stessa situazione. Soliti test: collego il tutto alla porta dall’altra parte del Mac, provo a togliere l’ad-block, controllo sul log del dhcp, controllo nel log di sistema... nulla.

Allora ti butti a cercare sulla rete: Google, Bing, Duckduckgo. Il risultato alla fine è persino semplice: il driver di Apple (nuovo in Big Sur) attivato dal dispositivo ha un baco: quando il traffico comincia a farsi pesante (come in una video-call) può incappare in un overflow e andare in crash! E lì c’è poco da fare: per il dhcp non esisti più, perché dovrebbe spedirti segnali? Ed ecco anche spiegato perché staccando e riattaccando la rete torna: alla nuova connessione il driver viene ricaricato e tutto funziona, fino al prossimo crash.

La prima soluzione è che Apple corregga il problema: sperabile ma non probabile! Il baco esiste dalla prima versione di Big Sur a settembre 2020: se dopo sei mesi è ancora lì, non ci sono grandi speranze; inoltre l’adattatore di Apple funziona (dicono).

L’altra soluzione è di armarsi di santa pazienza... Prima cosa: scoprire il tipo di chip che gestisce l’ethernet su vostro dispositivo. Semplice: tenere premuto Option, menu Mela, Informazioni sul computer. Vi si apre una panoramica di tutto quello che c’è nel macbook; con il dispositivo collegato, selezionare USB dalla lista a sinistra; nella lista che compare a destra cercate USB 10/100/1000 e selezionatelo. Nel mio caso, Realtek, con ID 8153. Dalla ricerca in rete abbiamo visto che è proprio uno dei modelli incriminati...

Quando si parla di fortuna: ho acquistato due hub, entrambi con lo stesso chip... Va beh! Andiamo sul sito di Realtek e cerchiamo il driver adatto (in questo momento questo è il link): deve coincidere ovviamente il numero del chip ed il sistema operativo. In questo caso viene giù un dmg con un installer... Fermi! Niente doppio click! Il problema è che macos 11 ha un ulteriore strato di protezione, chiamato SIP (System Integrity Protection), che non lascia installare nulla silenziosamente nelle cartelle di sistema, anche se firmato dallo sviluppatore.

Da qui in poi, attenzione: non mi prendo responsabilità per quello che può accadere sul vostro computer: dobbiamo andare all’interno di macos!

Quindi, stacchiamo il dispositivo; ora occorre far ripartire il mac in Recovery Mode, dove abbiamo accesso di amministrazione a cose nascoste (e pericolose da modificare!). Quando ci siamo, apriamo il Terminale usando uno dei menu e dentro scriviamo

csrutil disable

seguito da invio. Abbiamo appena disabilitato le sicurezze! Dal menu Mela riavviamo il Mac e, una volta ripartito, finalmente installiamo il driver (se ce n’è più di uno, nel mio caso ho scelto quello che nel nome ha la parola ethernet). Durante l’installazione chiederà la password di amministratore e potrebbe anche chiedere di approvare l’estensione nelle preferenze di sistema (come anche Catalina ci aveva abituati). Ora proviamo ad attaccare il dispositivo ethernet, apriamo nuovamente le informazioni sul computer: vediamo che quello che compariva come un generico usb-ethernet ora ha il nome del produttore del chip (Realtek)! Significa che è stato caricato il nuovo driver, che infatti vediamo in figura in Nome Kext.


Bene! Ora dobbiamo rimettere a posto le sicurezze. Stacchiamo l’apparecchio e riavviamo nuovamente in Recovery Mode, apriamo il terminale e scriviamo, ovviamente

csrutil enable

Nuovo riavvio. Se connettendo il dispositivo, questo compare con il nome Realtek, siamo a posto! Se invece compare come scheda generica USB 10/100/1000, allora è stato nuovamente caricato il driver Apple e quello nuovo è stato bloccato dalle sicurezze.

Allora, sempre dalle Informazioni sul sistema, scegliamo la voce “Software disabilitati”: di sicuro ci troveremo il nostro driver, con una denominazione importante (riporto il mio caso):

ZYM2ETK3E7 com.realtek.driver.AppleRTL815XEthernet

Il primo codice è quello che ci interessa: è l'identificazione dello sviluppatore. Ora ritorniamo in Recovery Mode, apriamo il terminale e controlliamo che non esista ancora un record per questo sviluppatore (il comando fa una lista dei codici ammessi):

spctl kext-consent list

Solo se la risposta è vuota oppure non contiene "ZYM2ETK3E7", possiamo aggiungere l’eccezione:

spctl kext-consent add ZYM2ETK3E7

Naturalmente, se stiamo lavorando per un'altra estensione di altro produttore, dovremo inserire il codice di quel produttore.

Non stiamo aprendo il nostro Mac a malintenzionati, stiamo solo dicendogli che quello sviluppatore è noto: ci sarà sempre bisogno di autorizzare un eventuale software. Ora riavviamo, controlliamo per scrupolo che connettendo il dispositivo parta sempre il software Apple (compare come generico fra le schede di rete), quindi apriamo il Terminale e scriviamo

sudo kextload -b com.realtek.driver.AppleRTL815XEthernet

Il comando prova a caricare il nuovo driver e ci avvisa, tramite terminale (ma anche con un dialogo) che l’estensione è stata bloccata e bisogna autorizzarla dalle Preferenze di Sistema. Se infatti apriamo le Preferenze e andiamo nella sezione Sicurezza e Privacy, tab Generali, troveremo una scritta che chiede di autorizzare la nuova estensione. Dopo aver sbloccato la finestra con un click sul lucchetto e fornito la password, possiamo autorizzarla e quando collegheremo nuovamente il dispositivo, questa volta verrà caricato il nuovo driver e non quello generico: il problema è risolto! Posso affermarlo perché è una settimana che la rete cablata è connessa tutto il giorno, con grossi carichi (più video chiamate al giorno)!

C'è anche da notare che, nel caso di un MacbookPro, chiudendo il lid e mandando il computer in stop, l'interfaccia si spegne, permettendo al Mac di passare in modalità sleep! Cosa che con il driver di Apple non succedeva!

2015-01-17

Spotlight delle mie brame...

Tutti gli utenti Mac conoscono Spotlight: di solito non è altro che un'icona a forma di lente che se ne sta nella zona dei menu, in alto a destra; di solito silenzioso, quando abbiamo bisogno di trovare un file (di cui spesso abbiamo solo una vaga idea del contenuto, figuriamoci se ricordiamo il nome del file...), non dobbiamo fare altro che premere Cmd-Spazio ed ecco che compare, pronto a dirci dove si trova, o almeno a mostrarci una serie di possibily match della nostra ricerca. Quando non trova nulla, fa come Siri e ci chiede se vogliamo cercare nel Web.
Il diavoletto di Spotlight può essere usato per lanciare le app, senza doverle andare a cercare nella Launchpad e materialmente cliccandoci sopra (a questo proposito, ci sarà a breve una nuova utility con funzionalità aggiuntive rispetto a Spotlight, ma questa sarà tutta un'altra storia...)

Qualche volta, becchiamo Spotlight "con le braghe in mano": quando l'apriamo ci mostra una bella progress bar ("Sto indicizzando"): proprio un attimo prima ha scoperto che qualcosa non è aggiornato, per cui cui sta aggiornando il proprio indice interno. Spesso, anche in questa occasione ci fornisce dei risultati, ma questi potrebbero non essere completi: forse, se aspettiamo qualche secondo, ci potrà dare risultati migliori.

Qualche volta però, il succitato diavoletto comincia a fornire risultati cervellotici: non trova alcune applicazioni, oppure nemmeno alcuni file, nonostante siano stati appena salvati. Questo è un buon indizio della necessità di ricostruire l'indice!
La ricostruzione dell'indice può essere fatta utilizzando apposite utility (p.es. Onyx), ma lo stesso risultato può essere ottenuto con un semplicissimo comando da terminale:
sudo mdutil -E /Volumes/nomeDisco
Alla richiesta, inserire la password di amministratore. Questo comando distruggerà l'indice attuale, che verrà ricostruito da Spotlight stesso non appena ne avrà voglia (va beh, diciamo che lo farà quando penserà di non essere utilizzato, in modo da non dare fastidio all'utente). Ce ne accorgeremo dalla presenza della progress bar nella sua finestra.

Un'altra possibilità da Terminale è l'impedire l'indicizzazione di un disco esterno. Questo sarebbe possibile anche senza entrare nel Terminale, usando l'apposita lista Privacy nelle Preferenze di Sistema, ma ho verificato che non sempre il sistema si ricorda di questa impostazione, per cui conviene usare il seguente comando:
sudo mdutil -i off /Volumes/nomeDiscoEsterno
Da quel momento in poi, l'indice del volume indicato non verrà più aggiornato; se vogliamo che scompaia del tutto, facciamolo seguire dal comando indicato sopra, che cancellerà appunto il file di indice, che non verrà più costruito.
Se in seguito dovessimo cambiare idea e volessimo tornare all'indicizzazione, non dovremo fare altro che digitare da Terminale il comando opposto:
sudo mdutil -i on /Volumes/nomeDiscoEsterno
e alla prima occasione l'indice verrà ricostruito; da notare che la ricostruzione è un processo a bassa priorità, per cui potrà essere posticipata nei casi in cui Spotlight pensa di dare fastidio. Se proprio vogliamo che succeda velocemente... lasciamo il Mac da solo per qualche minuto!

2014-05-11

Nuova vita ai "vecchi" MacBookPro

Il mio MacBook Pro (modello 4,1) ha un po' di annetti; il modello è chiamato "Early 2008", da cui si capisce che ha 6 anni di onorata carriera, ma non solo: in mezzo è avvenuta la rivoluzione degli Unibody e recentemente dei Retina Display.
Sì che ho ancora funzionante un Powerbook G4 del 2003, che di anni ne ha 11, ma se lo scopo è lo sviluppo, allora i modelli invecchiano un po' più velocemente della media dei Mac.
Che fare? L'acquisto di un nuovo Mac è sempre una cosa che da un lato dà soddisfazioni, ma dall'altro lascia il portafoglio vuoto.

Alternative? Dopo aver girato un po' sui forum e sulle riviste web specializzate, viene fuori l'idea: sostituire l'hard disk attuale (250 GB, 5400 rpm) con una SSD.
Finora non avevo mai considerato questo aggiornamento: l'HD originale funziona bene, è abbastanza silenzioso, non si fa sentire con click continui e così via. In più il modello 4,1 ha un bus SATA II limitato alla velocità del SATA I, per non dare problemi al lettore di DVD, che si trova sullo stesso bus. Dato che oggi ormai si trovano solo SSD con SATA III, sembrava uno spreco di soldi montare una cosa da 6Gb su una linea che ne accetta non più di 1.5Gb.
E infatti in giro per il web alcuni dicevano che si vedeva la differenza, altri che non era il caso di cambiare per un piccolo aumento della velocità.

In più, c'era anche il fatto psicologico del numero massimo di cicli di lettura/scrittura di una SSD: in effetti, anche un HD rotante fornisce un numero massimo di letture, oltre il quale in media si rompe qualcosa di meccanico o magari di elettronico, ma siamo abituati a pensare comunque che l'HD meccanico duri quasi all'infinito.

Alla fine ho rotto gli indugi: oggi un SSD di capacità normale si presenta con dei prezzi abbastanza normali. Non ho voluto andare sui top di gamma tanto, mi son detto, con un bus da 1.5Gb è inutile.
Per cui mi sono orientato su un SanDisk, SATA III, da 250 GB, praticamente un copione dell'HD originale. Su Amazon veniva offerto con il 40% di sconto (per quel che vuol dire: sembra che a prezzo pieno non ce ne siano, per cui il riferimento alla fine è il prezzo scontato!). E comunque SanDisk non è una marca da buttare, anzi.

Non prevedevo di aver problemi con lo smontaggio/montaggio: avevo già dovuto aprire il Mac per cambiare la ventola destra, diventata rumorosa; l'HD è solo dalla parte opposta, ma sempre ben raggiungibile. Solo due difficoltà: a) alcuni connettori che passano sopra l'HD e devono essere scostati con attenzione; b) avere un cacciavite Torx, altrimenti non si possono svitare i supporti dell'HD da inserire sulla nuova SSD. In tutto: mezz'ora di lavoro (grazie ad iFixit!).

Avevo preferito fare un backup completo prima di estrarre l'HD, ma senza clonare nulla: sempre meglio partire da un'installazione fresca (anzi: è l'occasione per eliminare cose mai usate!).

Quindi, accensione, collegamento ad un HD esterno dove avevo preventivamente scaricato dal Mac App Store l'ultima versione di Mavericks. Tutta l'installazione avviene normalmente con i soliti tempi ed anche il setup di OS X non è indicativo, dovendo inserire tutti i dati di configurazione. Fine. Pronti all'avvio, cronometro in mano... (il tempo da battere è di 90 secondi con Mavericks; da nuovo si avviava in 40 secondi con Leopard [10.5]).

Boing... mela grigia... rotellina... eccolo! Richiesta password: Urca! 16 secondi!!!
Inserita la password, passano circa 2 secondi per avere il desktop pronto, con tutti i menu extra visibili e possibilità immediata di aprire finestre o lanciare programmi!
Allora era tutta questione di hard disk!
Faccio la classica prova ammazza-computer: vado sul dock col mouse e in sequenza veloce faccio partire le prime 5 applicazioni da sinistra, tra cui Safari. Ognuna di loro si apre con un "salto" solo e in circa 5 secondi sono tutte pronte a ricevere comandi, compreso quell'elefante di Safari!

L'entusiasmo mi fa cercare immediatamente in rete gli accorgimenti per mantenere in buona salute la SSD (in pratica per evitare scritture inutili, soprattutto quelle ripetute):

  1. attivazione del TRIM: con i dischi non originali OS X non lo attiva. Scaricare TRIM Enabler oppure Chameleon SSD Optimizer.
  2. spegnere il sensore di movimento improvviso, che proteggeva le parti meccaniche dell'HD. Si tratta di un comando da terminale, spiegato qui dalla stessa Apple.
  3. disabilitare il Safe Sleep, che fa scrivere l'immagine della RAM sul disco, utile in caso di batteria quasi scarica. Evitiamo così una scrittura pari alla dimensione della RAM ad ogni stop del Mac. Comando da terminale, spiegato qui. Se si trattasse di uno degli ultimi modelli, bisogna disabilitare anche un'altra regolazione, ma per il 4,1 non esiste.
  4. disabilitare la registrazione dell'ultima data di apertura di ogni file, anche questa fonte di scritture inutili (la data di modifica sarà comunque registrata). Questa è una procedura un po' più complessa, ma fattibile, spiegata qui, dove c'è anche un riassunto degli altri punti.
  5. se usiamo Time Machine, attiviamolo ma poi disattiviamo i backup periodici in locale, fatti quando il disco di TM non è collegato: oltre a fare un backup ogni ora, porta via spazio prezioso. Anche qui, comando da terminale (spiegato qui).
Personalmente, ho usato TRIM Enabler per attivare il TRIM e Chameleon per impostare le altre cose (escluso il noatime, punto 4, che deve essere fatto a mano).
Ci sarebbe ancora un altro punto, che però è controverso: si può decidere di disattivare il journaling. Questa caratteristica è utile per mantenere coerenza nei dati del disco in caso di interruzione improvvisa, come mancanza di corrente (per i sistemi desktop) o freeze o kernel panic del Mac. In questi casi, il journaling permette di ricostruire le operazioni lasciate a metà e quindi di ricuperare al riavvio senza intervento i dati che potevano andare persi.
Consiglio: se vivete pericolosamente, cioè scaricate anche versioni beta dei software, peggio ancora nel caso dei driver, se cioè vi capita ogni tanto di dover spegnere forzatamente il Mac, allora il journaling vi è necessario. Se invece lo usate normalmente, con software standard affidabili e non vi è mai capitato di doverlo spegnere con l'interruttore, allora potreste pensare di disabilitare il journaling (ma poi non accusatemi se vi succede di perdere un file importantissimo!). La disattivazione può essere fatta da Utility Disco.

Ormai sono 10 giorni da quando ho effettuato l'installazione e da allora non ho mai visto la famosa spinning wheel colorata, che mi faceva andare in bestia e mi spingeva a pensare ad un nuovo Mac. Inoltre, il Mac è diventato silenziosissimo! Alla sera, nel silenzio, non esce il minimo rumore (le ventole provocano soltanto un lieve soffio). Ho poi scoperto che scalda meno (quindi ventole al minimo quasi sempre) e, cosa piacevole, ha guadagnato tra i 30 e 50 minuti in più di batteria: alla fine, l'HD richiedeva un motore, l'SSD no!

Con i costi attuali e se non c'è necessità di avere grande spazio disco, la sostituzione con una SSD può darvi l'impressione di avere per le mani un computer nuovo!